L’Uomo Tecnologico pensa che tutto ciò che è in grado di fare, deve essere libero di farlo, è davvero difficile capire per lui i motivi per cui dovrebbe o non dovrebbe accettare particolari sviluppi tecnologici; e quindi, se è possibile assoggettare la biologia alla volontà umana, perché non farlo?
Perché porre un limite al desiderio?
La tecnologia riproduttiva estende la padronanza della procreazione, libera interamente il concepimento dal corpo; la fecondazione in vitro (IVF), per esempio, permette alle coppie sterili di concepire, i figli in provetta sono realtà, non si fa più caso alla innaturalità della pratica, al fatto che questa ha condotto alla mercificazione delle nascite separando il concepimento dall’unione sessuale. L’Uomo Tecnologico riuscirà a liberare definitivamente il concepimento dal corpo con l’arrivo dell’utero artificiale, e la gravidanza non sarà più un peso. E poiché per l’Uomo Tecnologico la libertà di scelta conta di più di ciò che viene scelto esso non è tanto interessato a ciò che deve desiderare, quanto al come può realizzare ciò che desidera. Se ha quindi possibilità di cambiare sesso, perché non farlo?
Negli Usa si stima che 150.00 adolescenti trai 13 e i 17 anni si identificano come transgender. In Italia, “solo” 300 casi presi in carico dalle strutture pubbliche. Sempre negli Usa, i proventi per la vendita di testosterone sono cresciuti vertiginosamente. Attenzione, la vendita è correlata principalmente alla proliferazione delle cosiddette “gender clinics” (a oggi se ne contano 50 negli Usa).
La sociologa Daniela Danna scrive nel suo saggio “La Piccola Principe” che sono sempre più giovani coloro che ricorrono a queste cliniche. «Una decisione così grave e carica di conseguenze fisiche ed emotive come il cambiamento fisico e legale di sesso non può essere presa da un adolescente, tanto meno nell’infanzia» ammonisce la sociologa. La Danna ricorda inoltre come questo sia un viaggio senza ritorno, la “detransizione” (il percorso inverso) non è affatto facile. Perché in tanti casi si vuole tornare indietro. Gli specialisti del genere tendono a rassicurare e ad affermare che i farmaci per bloccare la pubertà non hanno effetti collaterali, che sono reversibili, «ma nessuno lo sa con certezza» conclude la sociologa. Sì, perché i bambini che intraprendono la strada della “transizione” devono assumere farmaci per bloccare la pubertà, i bloccanti ipotalamici. Avete capito bene, bloccanti per sospendere lo sviluppo puberale quando questo va in una direzione non desiderata.
Ma la “disforia di genere” (il disturbo di chi non si riconosce nel proprio sesso biologico) non è definitiva, nella maggioranza dei casi essa si risolve durante il passaggio tra infanzia e adolescenza, permanendo solo in una percentuale compresa tra 12 e 27%. Lo afferma la psicoterapeuta Damiana Massara; la quale ci tiene a far sapere che c’è pure chi sostiene che «la disforia ora sia di moda». «In letteratura», sostiene sempre Massara, «si parla di gruppi di amici che fanno “coming out” senza aver mai detto nulla prima. Il sospetto è che ci sia una sorta di contagio sociale…».
Ma in questi tempi di psico-polizia, affermare che i bambini possano diventano transgender a causa della pressione o dell’influenza sociale, e non perché sono nati in quel modo, non è politicamente corretto, quindi è inaccettabile. E succede che lo studio sulla disforia di genere di Lisa Littman, medico e ricercatrice della Brown University School of Public Health negli Usa, venga pubblicato il 16 agosto 2018 sulla rivista Plos One ma, in seguito alla messa sotto accusa da parte della comunità LGTB, prima la rivista PLOS ONE mette in discussione la metodologia dello studio (che la rivista stessa aveva appena pubblicato) annunciando un’insolita verifica post-pubblicazione (ma mantenendo comunque il paper disponibile online) poi la Brown University a sua volta reagisce cancellando dalla sezione “notizie” del proprio sito l’articolo che aveva dedicato ai risultati della ricerca.
In questa ricerca, la Littman esamina numerosi casi di bambini con improvvisa comparsa della cosiddetta disforia di genere, in particolare quella “a insorgenza rapida”. Nella sua presentazione la Littman afferma, tra l’altro, che «l’insorgenza della disforia di genere è avvenuta nel contesto dell’appartenenza a un gruppo di coetanei, in cui uno, diversi o persino tutti gli amici erano diventati disforici di genere e si identificavano come transgender durante lo stesso periodo di tempo. I genitori riferiscono inoltre che i loro figli hanno mostrato un aumento dell’uso dei social media prima della divulgazione dell’identità transgender».
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