Come diventare esperto di vino in 10 mosse - Capitolo 5 I Vini Speciali

in #vino5 years ago (edited)

Ma al vino si può aggiungere zucchero?
In teoria no…

E l’alcol si può aggiungere?
In teoria nemmeno quello.

Ma perché “in teoria”?
Perché esiste una categoria particolare di vini detti “Speciali”. Non tanto e non solo perché sono oggettivamente molto differenti da quelli normali, quanto piuttosto perché devono sottostare a regole diverse, anzi hanno libertà decisamente più ampie.

Parliamo di vini come Porto, Marsala, Vermouth o Jerez (Sherry) ma anche degli stessi vini spumanti. In particolare per questi vini esiste una deroga specifica sia all’aggiunta di zuccheri sia all’aggiunta di alcol, sotto varie forme e in vari momenti della lavorazione. Addirittura, per il Madeira, il metodo di lavorazione tradizionale prevede il riscaldamento del vino.
Siamo di fronte a vini molto particolari, che nascono tra il seicento e il settecento in genere, o più tardi, sotto la spinta della necessità di conservare il vino nei lunghi viaggi delle compagnie coloniali. L’unico conservante allora conosciuto era, appunto, l’alcol mentre lo zucchero, oltre a rimanere naturalmente nei vini dell’epoca, veniva anche aggiunto per rendere più bevibili questi vini forti, anzi fortificati – come si diceva tempo addietro - dall’aggiunta alcolica.

Vediamo velocemente come si producono questi vini, considerati vini di metodo più che di territorio, proprio perché le tecniche di produzione sono così importanti da far passare in secondo piano, relativamente, uve e territorio di produzione.
La differenza più importante è nel momento dell’aggiunta della fortificazione, cioè dell’alcol.

Può avvenire direttamente nel mosto, a metà fermentazione o a fermentazione conclusa. Nel primo caso, il più raro, avremo le cosiddette mistelle, prodotte per il consumo diretto o per l’aggiunta ad altri preparati. In particolare in Francia abbiamo vini come il Pineau des Charentes o il Ratafìa de Champagne che sono appunto mistelle. L’aggiunta dell’alcol rende “infermentescibile” il mostro, si dice anche mutizzazione per specificare che, appunto, quel mosto non fermenterà più.

Tuttavia la procedura più utilizzata è quella che vede l’aggiunta dell’alcol, puro o acquavite o cognac ecc., durante la fermentazione. È questo il caso di vini famosissimi come Porto, Madeira e Marsala (tranne il Vergine). Le lavorazioni differiscono poi per ogni singolo prodotto, nel caso del Porto le differenze maggiori riguardano l’affinamento, se fatto in botte o in bottiglia, e siamo ovviamente in Portogallo. Si va dai più giovani, Ruby e Tawny, a quelli mediamente invecchiati come i LBV (Late Bottled Vintage) fino ai più prestigiosi e costosi che sono appunto i Vintage. Per il Madeira, che deve il suo nome all’omonima isola atlantica anch’essa portoghese, il processo prevede addirittura il riscaldamento del vino dopo la fortificazione, così come avveniva nelle barche delle compagnie coloniali che, affrontando la circumnavigazione dell’Africa, al momento del passaggio dell’Equatore vedevano scaldarsi le loro navi ben oltre i 50 gradi. E con esse i vini trasportati, già fortificati per conservarsi fino alla fine e, in alcuni casi, anche fino al ritorno in patria. Infine il Marsala, che nasce in realtà unendo l’idea della fortificazione che aveva l’inglese John Woodhouse (d’altronde l’Inghilterra era ed è uno dei mercati più importanti per questi prodotti), con il sistema di produzione locale siciliano detto “perpetuo”, consistente in una immissione di mosto fresco in una botte che già contiene vino delle annate precedenti, con tutti i processi di ossidazione annessi.

Infine, per completare il giro, il più famoso dei vini fortificati con aggiunta di alcol dopo la fermentazione è sicuramente lo Sherry ( o Xeres o Jerez), prodotto in Spagna nella zona di Jerez de la Frontera appunto (oltre al Marsala Vergine appunto). In questo caso abbiamo due tipologie di Sherry, che NON è assolutamente il liquore alla ciliegia che molti conoscono, il Fino e l’Oloroso. Nel primo caso sul vino in affinamento nelle botti, non piene (tecnicamente “scolme”), si forma una sottile pellicola di lieviti della “flor” che in parte protegge il liquido e in parte lo arricchisce di profumi. Nella tipologia Oloroso invece questa formazione non avviene. Le grandi differenze tra i due riguardano l’aspetto olfattivo e soprattutto gustativo, più eleganti e secchi i Fino, più concentrati, dolci e caramellosi gli Oloroso.

Cambiando totalmente ambito citiamo infine i vini aromatizzati, ovvero quelli con aggiunta di aromi estranei all’uva. Parliamo di prodotti come Barolo Chinato (con aggiunta di China Calissaja), Vermouth (addizionato di Artemisia Maggiore, la pianta dell’assenzio, che in tedesco si chiama appunto wermut) o Retsina, il famoso vino greco aggiunto di resina di pino (così come facevano gli antichi greci sia per chiudere le giare in modo ermetico sia, appunto, perché gradivano questi profumi).

Il concetto di base in merito ai Vini Speciali è che, appunto, possono e anzi sono sempre “addizionati” con zucchero e/o alcol, contrariamente a quanto è possibile fare per legge con i cosiddetti vini normali. A maggior ragione quindi per gli aromi esterni all’uva. Lo scopo, come detto, era sostanzialmente quello di rendere i vini più serbevoli, in ogni caso il prodotto finale è sempre un vino molto complesso, spesso dolce così da sostenere meglio la beva, con capacità di invecchiamento (se si escludono gli aromatizzati) che nei casi migliori arrivano a svariati decenni. Un mondo vario ma affascinante, nel quale il tempo e l’ossigeno – che per il resto dei vini sono da gestire con la massima cura – sono i protagonisti assoluti.

Per la prossima puntata avete suggerimenti?

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